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giovedì 10 novembre 2016

Giovanni Carrù, Le allusioni iconografiche alla Natività del Cristo

Monsignor Giovanni Carrù, sacerdote dal 1972 e nominato Segretario della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra dal giugno 2009, nel 2011 ripercorre nel seguente articolo i riferimenti iconografici più espliciti alla storia della Natività sin dalla prima metà del III secolo.


Memorie della Natività in catacomba
Il presepe nel complesso di San Sebastiano
di Giovanni Carrù
Le allusioni iconografiche alla Natività del Cristo si affacciano all’orizzonte figurativo tardo antico sin dalla prima metà del III secolo, con particolare riguardo all’ ambiente romano e alla produzione artistica di tipo funerario. Sono celebri gli affreschi che decorano il primo piano della catacomba di Priscilla, sulla via Salaria Nova, che riproducono, nel breve frangente cronologico che va dal 230 al 260, proprio la scena della Natività con il profeta Balaam, l’annunciazione a Maria e l’adorazione dei Magi. Questi suggestivi documenti iconografici rappresentano la naturale traduzione figurata, in chiave cristologica, di un dibattito dottrinale, che chiama in causa proprio il mistero della Incoronazione e, più in generale, la vera natura di Gesù, in relazione al rapporto che Questi intrattiene con il Padre.
Se la catacomba della via Salaria rappresenta tutto il percorso dell’ Infantia Salvatoris, prendendo avvio dalla profezia messianica e giungendo all’ episodio aulico dell’ adorazione dei Magi, alcuni frammenti veramente esigui e molto rovinati di certi monumenti catacombali recuperano questi temi, trattandoli secondo schemi anche molto originali, come quando, rispettivamente nelle catacombe di Domitilla e dei Santi Pietro e Marcellino, i re d’ Oriente, che recano i doni al Bambino, sono reduplicati simmetricamente e diventano due o quattro, in perfetta sintonia con le narrazioni evangeliche che, in realtà, non specificano il numero degli adoratori.
Qualche sorpresa proviene, poi, dalle catacombe di San Sebastiano sulla via Appia Antica, uno dei complessi cimiteriali paleocristiani più antichi, dedicato alla memoria Apostolorum, ovvero alla venerazione congiunta per i principi degli apostoli. Ebbene, il complesso, che comporta anche la presenza di una basilica circiforme, consacrata dalla famiglia dei Costantinidi proprio a Pietro e Paolo, comprende anche un’estesa rete cimiteriale, nota sin dalle prime esplorazioni delle catacombe romane e costellata di iscrizioni, sarcofagi ed affreschi, che arredano gli antichi ambienti ipogei.
Nel secondo piano delle catacombe, il grande archeologo romano Giovanni Battista de Rossi, nel 1877, scoprì un arcosolio dipinto, già estremamente provato a livello conservativo, tanto che pensò di farne fare un copia, mentre l’ iconografo tedesco Joseph Wilpert, agli inizi del Novecento, non riuscì a far realizzare un acquarello dal pittore Carlo Tabanelli, il quale, pur avendo preparato oltre 600 tavole relative alle pitture catacombali romane, si arrestò dinnanzi all’ impresa impossibile di riprodurre il programma pittorico – pur interessantissimo – dell’ arcosolio dipinto.
Nel febbraio del 1995, i responsabili della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra tentarono un delicato intervento conservativo, che evidenziò alcuni esigui brani degli affreschi, senza, comunque, recuperare l’intero apparato pittorico, caratterizzato da una particolare pittura a secco, eseguita direttamente sull’ intonaco precedentemente imbiancato. Il confronto delle evidenze pittoriche, ultimamente recuperate, con il disegno fatto eseguire dal de Rossi ci permettono di ricostruire la decorazione dell’arcosolio.
Se la lunetta conserva solo labili tracce di un cristogramma con le lettere apocalittiche, l’intradosso mostra una distinzione in tre campi, dove si riconoscono l’episodio di Mosè che batte la rupe, la figura di una defunta orante e una essenziale scena di presepe, che si situa proprio nel quadro centrale. Lo stato attuale di conservazione ci permette di individuare, con molta difficoltà, la mangiatoia, rappresentata come una sorta di tavolo su cui giace il Bambino fasciato e nimbato, presso il quale sono situati l’asino e il bue. Sulla scena campeggia un busto maschile nimbato, vestito di tunica e pallio, dove non è difficile riconoscere l’immagine del Cristo adulto, quasi per proiettare, con un audace espediente figurativo, la realtà dell’infanzia di Gesù nella prospettiva escatologica del Cristo Salvatore.
La scena, dunque, vuole alludere, in maniera estremamente abbreviata, a una situazione di presepe, ridotta al Bambino nella mangiatoia e agli animali, secondo uno schema caro all’ arte degli ultimi anni del IV secolo, così come dimostrano un rilievo nel coperchio del sarcofago milanese di Stilicone e un affresco dell’ipogeo veronese di Santa Maria in Stelle, dove appunto la Natività è evocata esclusivamente dagli animali in prossimità della culla.
Quest’ ultimo particolare, come è noto, deriva esclusivamente dagli scritti apocrifi e, in particolare, dal Vangelo dello Pseudo Matteo e dal Protovangelo di Giacomo, dove si legge che, il terzo giorno dopo la nascita, Maria uscì dalla grotta ed entrò nella stalla, dove depose, in una mangiatoia il Bambino che fu adorato dal bue e dall’ asino.
Un altro esplicito riferimento iconografico alla storia della Natività viene da un esiguo frammento di sarcofago proveniente ancora dal complesso di San Sebastiano e ora conservato nel Museo dei sarcofagi. Il rilievo, riferibile alla metà del III secolo, mostra una figura femminile che allatta il Bambino al cospetto di un uomo che si appoggia a un bastone. Ebbene, il pensiero corre al luogo lucano (2, 8-20), laddove si narra che «i pastori, che vegliavano le greggi in quella regione, durante la notte, si recarono a Betlemme per contemplare il prodigio della Natività».
Secondo i Padri della Chiesa, l’adorazione dei pastori si propone come un coerente contrappunto di quella dei Magi, tanto che i primi rappresentano i giudei e i secondi i pagani, ma anche le due estremità della societas christiana.
Le due rappresentazioni della Natività nelle catacombe di San Sebastiano dimostrano come i cristiani dei primi secoli prestino particolare attenzione agli avvenimenti dell’Infantia Salvatoris, estrapolando le scene dagli scritti canonici e dalle affabulazioni apocrife, per ampliare lo scenario magico e suggestivo dei tempi dell’Avvento e del Natale.

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