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giovedì 17 ottobre 2013

Michelle Bonev: Sono stata una marionetta nelle mani del potere

“Vorrei ringraziare coloro che hanno dedicato il proprio tempo a leggere il mio ultimo post, ma soprattutto coloro che hanno dimostrato di sostenermi in questo momento delicato della mia vita. Comprendo le critiche di cui sono stata oggetto, ma per me sono soltanto carezze rispetto al male che io stessa mi sono procurata in questi anni. Alcuni di voi mi hanno chiesto perché solo adesso ho deciso di parlare. Avevo paura. Paura di perdere tutto.
Confessare a me stessa la verità, senza cercare giustificazioni, non è stato facile. Mi sono resa conto di essere stata una marionetta nelle mani del potere, e come me, molti altri. Ho creduto di usare, invece, sono stata usata.
Bonev
Tutto iniziò nel mese di marzo del 2009, quando un’amica mi invitò a festeggiare il suo compleanno a Palazzo Grazioli, la residenza dell’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (egli organizzava spesso feste di compleanno per le sue “amiche” più intime). Io avevo conosciuto Berlusconi nel 1995, ma non ero sua amica: lo incontravo solo allo stadio e alle cene ufficiali. A quei tempi ero fidanzata con Ariedo Braida, il DG del Milan, e con la mia agenzia di model management rappresentavo la squadra di calcio per la pubblicità nel settore della moda. In occasione di quel compleanno, chiesi a Berlusconi di sostenermi con la sua azienda Medusa nella produzione e distribuzione del mio primo film “Goodbye Mama”. Gli lasciai la sceneggiatura del film.
Michelle Bonev
Nel mese di ottobre dello stesso anno, Berlusconi mi disse che, grazie al suo “intervento”, la Rai avrebbe acquisito i diritti del mio film. Essere un’attrice affermata nella televisione pubblica ne aveva comunque agevolato l’acquisizione. Il film costò 3.500.000 di euro, che io ho investito personalmente attraverso la mia società Romantica Entertainment Unipersonale; la Rai pagò 1 milione di euro per i diritti televisivi. Poi, sempre grazie a Berlusconi, nel mese di agosto del 2010, arrivò la convocazione da parte del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali per la consegna del premio “Action for Women” al mio film, per le tematiche sociali trattate, durante la Mostra del Cinema di Venezia. Fu allora che il Ministro Galan mi portò il saluto di Berlusconi. Da quel momento in poi i media, sia in Italia che in Bulgaria, si avventarono su di me, additandomi come “l’amica” di Berlusconi, “la sua escort”, massacrando così il mio film, spesso senza neppure averlo visto. Ma ripeto, io non ero ancora sua “amica”, e non ero mai andata ad Arcore.
Ai miei appelli di supporto, almeno nel rettificare le illazioni infondate sostenute dalla stampa nei miei confronti, Berlusconi mi rispondeva: “Devi essere contenta. Prima ti conoscevano alcuni, adesso ti conoscono tutti. Dovresti ringraziarmi”.  Ho sofferto immensamente in quel periodo così ambiguo della mia vita, mi sono sentita senza via d’uscita, bloccata. Dopo quel saluto e lo scandalo, anche la Rai mi chiuse le porte. In quel momento pensai che l’unica possibilità di continuare la mia carriera artistica in Italia fosse chiedere a Berlusconi di produrre con Mediaset una fiction, di cui avevo già in mente il soggetto, e tentare quantomeno di riabilitare il mio nome con il mio lavoro. Fu così che Berlusconi mi promise che mi avrebbe aiutato, e mi invitò ad Arcore. Poi arrivarono le sue avances, le “feste”, i contratti… Ed è così che ho conosciuto Francesca Pascale, con la quale iniziò anche una relazione. Ero entrata in una rete di compromessi, dalla quale era sempre più difficile uscire.
Sette mesi fa, quando fu trasmessa su Canale 5 la fiction “Donne in Gioco”, rimasi colpita da come Mediaset trattò il proprio prodotto a causa delle pressioni degli inserzionisti pubblicitari del gioco d’azzardo, a cui non faceva certo comodo una fiction sulla ludopatia. I responsabili Mediaset Fiction, che mi avevano applaudito fino al giorno prima della messa in onda, non fecero neppure una dichiarazione in difesa del prodotto. Tengo a precisare che la sceneggiatura di “Donne in Gioco” era stata scritta e riscritta per ben due anni sotto le indicazioni di Mediaset Fiction, e che l’intera fase produttiva era stata seguita da loro passo dopo passo. Non era giusto lasciarmi da sola ad affrontare tutte quelle critiche. Così decisi di incontrare “l’amico” Berlusconi, che mi disse: “Michelle, non ti preoccupare, chiudi un occhio adesso, ci sono ragioni aziendali che ci costringono ad agire così. Tra due, tre mesi, quando tutto sarà dimenticato, ti daremo un altro appalto per la produzione di un’altra fiction. Pensa al futuro.” E il mio passato? L’aver vinto lo share di tutte le prime serate su Rai Uno per cinque anni di seguito non contava più niente?
Questo ennesimo episodio fu per me uno schiaffo! E fu così che tornai a vedere la realtà. Riaprire gli occhi e accorgermi dov’ero, mi sconvolse a tal punto che decisi di cambiare tutto. A cominciare dal mio fidanzamento con un uomo ricco e con molti più anni di me. Un rapporto basato sulla sicurezza materiale. Sono stata abbandonata da mio padre a 17 anni, e sono viva per caso, dopo aver tentato il suicidio. E sebbene possa sembrare retorico, ho sempre cercato la sicurezza, sia materiale che affettiva, in uomini con molti più anni di me. Ho dovuto ammettere a me stessa che non avevo mai amato veramente, e che non ero mai stata una donna libera.
Troncare la relazione con il mio ex fidanzato, rappresentò un evento incredibile per coloro che mi conoscevano. Dopo cinque anni di fidanzamento, ero sul punto di sposarmi e diventare una donna ricca. Per una come me, poi, arrivata 23 anni fa in Italia con soli 20 dollari in tasca, sarebbe stato un ottimo epilogo. Sposata con un uomo ricco, amica di persone considerate influenti, una carriera in crescendo nel mondo dello spettacolo, potevo finalmente considerarmi una donna arrivata. Ma arrivata dove? Perché non ero felice? Tutto era malato! Persino i miei sentimenti, che credevo autentici, erano falsi. Mi convincevo di amare e di essere amata, sarebbe stata più facile così accettare i compromessi.
Ci sono momenti nella vita, in cui uno deve decidere da che parte stare. Ebbene, come vi ho già scritto, io ho deciso di stare dalla parte della verità. Non chiedo di essere compresa, né perdonata, voglio soltanto raccontarvi la mia storia. I fatti “personali” di cui vi ho parlato, non sono più tali, visto che riguardano persone che sono al potere e condizionano le nostre vite. Attraverso i media, influenzano le nostre menti, sfruttando la disinformazione, l’ignoranza, l’inconsapevolezza. Questo sistema si auto-protegge, perché coloro che ne fanno parte lo difendono per interessi economici e personali. Uscire allo scoperto significa ritrovarsi a lottare contro un gigante, rischiando di restarne schiacciati. Io questo lo so bene, ma so anche che è sbagliato continuare a tenere dentro verità che appartengono a tutti. E chissà, forse dopo di me, altre persone si assumeranno il coraggio di parlare. Perché io non voglio più essere così! E tu?”

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